Riparazioni urgenti anticipate dal singolo condomino: Cass. 9765 del 2012

Post 1156 of 1186

Fatto e diritto

Ritenuto che con atto di citazione notificato il 21 luglio 1994 M..L. , proprietaria di unita’
immobiliari in un edificio in condominio con M.R..O. , conveniva quest’ultima in giudizio dinanzi
al Tribunale di Trani, chiedendone la condanna al pagamento della somma di L. 1.400.000, oltre
IVA, per la spesa occorsa per la riparazione di una rottura di una condotta fognaria condominiale,
con conseguente sversamento di liquami in locale scantinato, di proprieta’ dell’attrice;
che la convenuta, costituitasi tempestivamente in giudizio, contestava la domanda, sostenendone
l’infondatezza in quanto, ex art. 1110 cod. civ., il diritto al rimborso delle spese ne-cessarie per la
conservazione della cosa comune era dovuto solo in caso di “trascuratezza” degli altri partecipanti;
circostanza questa, a detta della convenuta, non verificatasi nel caso di specie, in quanto la stessa,
informata della rottura della condotta fognaria, si era recata con un proprio tecnico all’interno del
locale scantinato e aveva concordato con la parte attrice che, nel caso in cui fosse stato necessario
procedere all’esecuzione di lavori, agli stessi avrebbe assistito un tecnico di propria fiducia;
che la causa si concludeva con la condanna della convenuta al pagamento dell’intera somma occorsa
per la riparazione della condotta fognaria nonche’ delle spese di lite, comprese quelle di c.t.u., come
anticipate dall’attrice;
che avverso tale sentenza proponeva appello O.M.R. ;
che ricostituitosi il contraddittorio, la Corte di appello di Bari, con sentenza n. 1321 del 2009,
depositata in data 30 dicembre 2009, in accoglimento dell’appello principale e di quello incidentale
condizionato: a) condannava la ricorrente al pagamento in favore di L.M. della somma di Euro
865,32, oltre interessi al tasso legale anno per anno vigente dal 21 luglio 1994 al saldo, per la spesa
occorsa per la riparazione della condotta fognaria condominiale e per la bonifica del vano cantinato
; b) poneva le spese di c.t.u., come liquidate con decreto 12 settembre 2002, a carico di entrambe le
parti, in misura del 50% ciascuna, con condanna della O. al rimborso, in favore di L.M. , della meta’
della somma gia’ versata, quale anticipataria, in virtu’ del suddetto decreto, al consulente tecnico di
ufficio; c) compensava per un terzo le spese del doppio grado di giudizio, condannando la ricorrente
al pagamento in favore di L.M. dei restanti due terzi;
che per la cassazione di questa sentenza O.M.R. ha proposto ricorso, sulla base di cinque motivi,
notificato a B.S. , quale eredi di L.M. , la quale ha resistito con controricorso e ha altresi’ proposto
ricorso incidentale affidato ad un motivo.
Considerato che il relatore designato ha formulato la seguente proposta di decisione:
“[(…) Con il primo motivo del ricorso principale la ricorrente lamenta, ex art. 360 n. 4 cod. proc.
civ., la nullita’ della sentenza di appello per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. sulla
corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, per aver la Corte di appello accolto la domanda attrice
sulla base di una diversa causa petendi, in assenza di una impugnazione incidentale che giustificasse
una pronuncia di tal genere. La parte appellata, infatti, nel contestare la fondatezza
dell’impugnazione, aveva sostanzialmente condiviso il ragionamento del giudice di primo grado, il
quale aveva posto a fondamento del diritto al rimborso della somma occorsa per i lavori il
presupposto dell’urgenza degli stessi. Cio’ nonostante, la Corte di appello e’ comunque pervenuta ad
una pronuncia di condanna sulla base dell’esistenza di un accordo intervenuto tra le parti avente ad
oggetto l’esecuzione dei lavori, ritenendo cosi che il diritto al rimborso sia sorto per effetto di un
vincolo solidale tra le parti in forza di un’obbligazione di tipo contrattuale, e non, come riconosciuto
dai giudici di primo grado, ex lege, per effetto dell’attinenza della spesa ad un bene comune e
dell’urgenza dell’anticipazione da effettuare.
Con il secondo motivo del ricorso principale la O. lamenta, ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la
violazione o falsa applicazione degli artt. 1326, 1703, 1104 e 1134 cod. civ., per avere la Corte di
appello erroneamente ritenuto prestato il consenso al conferimento dell’incarico per l’esecuzione
delle opere, nonche’, ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ., una grave contraddittorieta’ della motivazione su
tale punto decisivo della controversia. La ricorrente sostiene di non aver mai prestato un valido
consenso all’esecuzione delle opere e cio’ e’ testimoniato dal fatto che essa, chiedendo di poter
esaminare il preventivo dei costi per le riparazioni, si riservava il diritto di approvarlo previa
valutazione delle opere necessarie e delle pretese economiche vantate dalla ditta di fiducia della
Signora L. .
Con il terzo motivo la ricorrente principale deduce, ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione o
falsa applicazione dell’art. 1134 cod. civ., per avere la Corte d’appello ritenuto sussistente il
presupposto dell’urgenza che condiziona il diritto del condomino che abbia anticipato una spesa per
la cosa comune ad ottenere il rimborso degli altri partecipanti; la violazione degli artt. 115 e 116
cod. proc. civ. in materia di disponibilita’ e di valutazione delle prove e, ancora, una grave
contraddittorieta’ della motivazione su tale punto decisivo della controversia. La ricorrente, a tal
proposito, ritiene che la controparte abbia disatteso gli impegni assunti in occasione del sopralluogo
del 21 dicembre 1993, dando luogo all’esecuzione delle riparazioni senza attendere la
partecipazione del suo tecnico al saggio ispettivo, ne’ la valutazione di congruita’ del preventivo. Tali
accordi, a detta della ricorrente, sarebbero inoltre testimonianza di come i lavori non fossero
indifferibili, atteso che non risultava alcuna dimostrazione di urgenza sopravvenuta.
Con il quarto motivo di ricorso la O. lamenta, ex art. 360 nn. 3 e 4 cod. proc. civ., la violazione
degli art. 115 e 116 cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello ritenuto provato il credito vantato
dall’appellata nonche’, ex art. 360 A n. 5 cod. proc. civ., la insufficiente, contraddittoria ed illogica motivazione su tale punto decisivo della controversia. Viene ritenuta erronea e parziale la
valutazione degli elementi di prova da parte della corte territoriale, con particolare riferimento alla
ritenuta attendibilita’ del teste S. , non considerando, invece, la labilita’ di memoria di quest’ultimo e
la conseguente inattendibilita’,
Con l’ultimo motivo la ricorrente principale denuncia, ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione
dell’art. 1123 cod. civ., per aver disposto la condanna al pagamento di una quota pari al 50% della
spesa per le riparazioni della cosa comune sostenuta dall’appellata anziche’ di una quota pari ai
valori millesimali della sua porzione immobiliare.
Con il ricorso incidentale L.M. lamenta la violazione dell’art. 1123 cod. civ., con riferimento all’art.
360 n. 3 c.p.c. e la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. nonche’ l’insufficiente motivazione in
merito a un punto decisivo della controversia. La ricorrente incidentale sostiene, in particolare, che
il giudice di secondo grado avrebbe erroneamente accolto l’appello proposto dall’odierna ricorrente,
affermando che ella non avrebbe formulato espressa domanda di condanna della O. a rimborsarle
l’intero importo della riparazione.
In merito alla violazione dell’art. 1123 cod. civ., la L. rileva che la corretta interpretazione dello
stesso, secondo cui le spese relative alle cose destinate a servire i condomini in misura diversa
vanno ripartite in proporzione all’uso che ciascuno puo’ farne, avrebbe dovuto portare ad accollare
per intero le spese relative ai lavori eseguiti alla sola ricorrente, essendo la tubazione di cui si
discute asservita unicamente al suo appartamento.
(… )Vanno preliminarmente affrontate e rigettate le prime due eccezioni sollevate dalla
controricorrente.
Per quel che attiene all’improcedibilita’ del ricorso per mancato rispetto del termine semestrale
indicato dall’art. 327 cod. proc. civ., si puo’ osservare come tale norma, introdotta ad opera della
legge n. 69 del 2009, non operi per il presente ricorso. Come espressamente stabilito dall’art. 58
della legge appena citata, le disposizioni che modificano il codice di procedura civile e le
disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile in essa contenute, si applicano ai giudizi
instaurati dopo la data della sua entrata in vigore; cio’ basta ad escludere l’applicabilita’ dell’art. 327
cod. proc. civ., come novellato dalla legge del 2009, al ricorso in questione, risalendo l’inizio del
giudizio di primo grado al 1994. Da rigettarsi e’ anche la censura avente ad oggetto la violazione del
principio di autosufficienza. La formulazione del ricorso permette, infatti, una compiuta
ricostruzione dei fatti di causa e l’adeguata motivazione delle varie censure, anche attraverso la
riproduzione della sentenza gravata nei punti che si assumono in contrasto con le disposizioni
normative indicate. Si deve quindi escludere che la ricorrente si sia limitata a prospettare un mero
approdo ermeneutico differente rispetto a quello accolto dal giudice del grado precedente. Il primo
motivo del ricorso principale, avente ad oggetto la presunta violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
(principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato), e’ infondato.
Pare opportuno ricordare che, sulla scorta di orientamenti ormai consolidati nella giurisprudenza
della Suprema Corte, tale principio implica il divieto di attribuire alla parte un bene non richiesto o,
comunque, di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda, e deve ritenersi
violato ogni qualvolta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli
elementi identificativi dell’azione, attribuendo o negando ad alcuno dei contendenti un bene diverso
da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nella domanda (Cass.
n. 27727 del 2005). Viene ulteriormente specificato, per quel che qui interessa, che in tema di
giudizio di appello, il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, come il principio
del tantum devolutimi (piantina appellatimi, non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in
base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, nonche’ in base
alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi e all’applicazione di una norma giuridica, diverse da
quelle invocate dall’istante. Inoltre, non incorre nella violazione del principio della corrispondenza
tra il chiesto e il pronunciato il giudice d’appello che, rimanendo nell’ambito del petitum e della
causa petendi, confermi la decisione impugnata sulla base di ragioni diverse da quelle adottate dal
giudice di primo grado o formulate dalle parti, mettendo in rilievo nella motivazione elementi di fatto risultanti dagli atti ma non considerati o non espressamente menzionati dal primo giudice
(Cass. n. 20652 del 2009).
Pare allora evidente l’infondatezza della censura sul punto. Nel caso di specie, infatti, la Corte
d’appello ha fondato la propria decisione sulla sussistenza dell’urgenza dei lavori da effettuare,
requisito gia’ rilevato in primo grado, mentre si e’ soltanto limitata ad evidenziare, come dato di fatto,
la sussistenza del preventivo accordo.
Il secondo e il terzo motivo di ricorso, suscettibili di essere esaminati congiuntamente, sono
infondati.
La ricorrente, deducendo la violazione e la falsa applicazione delle norme indicate (artt. 1326, 1703,
1104, 1134 cod. civ. e artt. 115, 116 cod. proc. civ.) nonche’ la grave contradditto-rieta’ della
motivazione su tali punti decisivi, chiede, sostanzialmente, una diversa valutazione dei fatti, il che
non e’ consentito in sede di legittimita’. Come piu’ volte ribadito dalla Suprema Corte, con la
proposizione del ricorso per Cassazione, il ricorrente non puo’ rimettere in discussione,
contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi
degli elementi di valutazione disponibili ed in se’ coerente; l’apprezzamento dei fatti e delle prove,
infatti, e’ sottratto al sindacato di legittimita’, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non e’
conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto
il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di
merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento (Cass., sez. 6, n. 7921
del 2011). Inoltre, e’ opportuno aggiungere che il vizio di contraddittoria motivazione presuppone
che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da
elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione del procedimento logico – giuridico posto a
base della decisione adottata. Questi vizi non possono pero’ consistere nella difformita’
dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla
parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le
prove, controllarne l’attendibilita’ e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle
ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova,
salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale e’ assegnato alla prova (Cass.
n. 11936 del 2003). È allora evidente che non possono accogliersi le contestazioni della ricorrente
circa la sussistenza dell’accordo delle parti sui lavori da eseguire ovvero del requisito dell’urgenza,
in quanto elementi gia’ accertati dalla Corte territoriale.
I giudici di merito, come e’ dato leggere in sentenza, non solo hanno accertato l’urgenza dei lavori,
ritenendoli indifferibili secondo il criterio del bonus pater familias, ma hanno anche ritenuto che sul
punto si fosse raggiunto un accordo, non avendo l’odierna ricorrente contestato in alcun modo il
preventivo di spesa inviatole a seguito del sopralluogo effettuato in presenza dell’Ing. Nappi,
chiamato dalla stessa. Ne’ puo’ dirsi contraddittoria la motivazione su tali punti avendo la Corte
d’appello adeguatamente motivato in fatto e in diritto il proprio convincimento, attraverso un chiaro
esame dei fatti considerati.
Analogo ragionamento puo’ svolgersi in relazione al quarto motivo di ricorso, con il quale si lamenta
la violazione e la falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. nonche’ l’insufficiente,
contraddittoria ed illogica motivazione, in quanto la Corte d’appello avrebbe ritenuto provato il
credito vantato dalla resistente. La ricorrente contesta in particolare l’attendibilita’ del teste S. ,
lamentando una erronea e parziale valutazione degli elementi di prova da parte dei giudici di
secondo grado.
Il motivo di ricorso deve essere rigettato. Per giurisprudenza costante della Suprema Corte, infatti,
la valutazione delle risultanze delle prove e il giudizio sull’attendibilita’ dei testi, come la scelta, tra
le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute piu’ idonee a sorreggere la motivazione, involgono
apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale e’ libero di attingere il proprio
convincimento da quelle prove che ritenga piu’ attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita
confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 42 del
2009). Nel caso di specie, poi, risulta del tutto coerente il percorso argomentativo seguito dalla Corte d’appello nel giustificare l’attendibilita’ e la genuinita’ del teste.
Infine, il quinto motivo di ricorso, con cui si lamenta la violazione dell’art. 1123 cod. civ. in merito
alle ripartizioni delle spese, per avere il giudice di merito condannato la ricorrente al pagamento di
una quota pari al 50% della spesa per la riparazione della cosa comune anziche’ di una quota pari ai
valori millesimali della sua porzione immobiliare e’ inammissibile, stante la sua genericita’. La
ricorrente, infatti, si e’ limitata ad un generico rinvio ad atti del giudizio di appello, senza la
esplicazione del loro contenuto, non adempiendo quindi al preciso onere di indicare, in modo
puntuale, gli atti processuali e i documenti sui quali il ricorso si fonda, nonche’ le circostanze di fatto
che potevano condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione (Cass. n. 11984 del
2011); cosa, questa, che in relazione a tale motivo di ricorso e’ del tutto mancante. La quota pari ai
valori millesimali della porzione immobiliare, sulla cui base la Corte di appello avrebbe dovuto
determinare l’importo della somma dovuta, viene infatti solo genericamente invocata dalla
ricorrente, senza allegare di avere documentato nei gradi di merito quale fosse l’esatta ripartizione
millesimale del fabbricato in questione, e quindi senza fornire elementi idonei a sorreggere una
pronuncia sul punto. Anche il ricorso incidentale e’ infondato.
Dalla sentenza d’appello non risulta, infatti, che in primo grado la L. abbia agito per l’intero
rimborso delle spese sostenute ma soltanto per la condanna della convenuta al pagamento della
somma di L. 1.400.000, oltre IVA, importo questo pari a circa la meta’ della somma sborsata (L.
2.850.000 oltre IVA). Non puo’ neanche dirsi violato l’art. 1123, comma 2, cod. civ. sulla
ripartizione delle spese. I giudici d’appello hanno infatti ritenuto, argomentando compiutamente in
fatto e in diritto, che, nel caso di specie, la disciplina da applicare non fosse quella dettata per le
cose destinate a servire i condomini in misura diversa, ex art. 1123, comma terzo, cod. civ., bensi’
quella dell’art. 1123, comma primo, cod. civ., secondo cui le spese necessarie per la conservazione e
per il godimento delle parti comuni dell’edificio sono sostenute dai condomini in misura
proporzionale al valore della proprieta’ di ciascuno, salvo diversa convenzione (mancante nel caso di
specie). In particolare, i condotti fognari sono considerati dalla legge parti comuni dell’edificio e,
come gia’ affermato dalla Suprema Corte, sono oggetto di proprieta’ comune fino al punto di
diramazione degli impianti ai locali di proprieta’ esclusiva dei singoli condomini, con esclusione dei
soli raccordi di collegamento e delle tubazioni orizzontali che, diramandosi da detta condotta
condominiale di scarico, servono i singoli appartamenti di proprieta’ esclusiva (Cass. n. 583 del
2001). Cio’ detto, e non risultando alcun titolo contrario, trattandosi nel caso di specie della
riparazione di un condotto che, partendo dal pavimento del secondo piano dell’edificio attraversa
con andamento verticale gli altri due piani, vale la presunzione ex art. 1117, comma terzo, e. e.
(secondo cui le fognature ed i canali di scarico sono oggetto di proprieta’ comune dei proprietari dei
diversi piani o porzioni di piani di un edificio) e per la ripartizione delle spese, di conseguenza,
opera il regime di cui all’art. 1123 cod. civ.
Alla stregua delle considerazioni sin qui svolte e qualora il collegio condivida i rilievi in precedenza
formulati, si ritengono sussistenti le condizioni per la trattazione dei ricorsi in camera di consiglio”;
che il Collegio condivide la richiamata proposta di decisione, non apparendo le critiche svolte dalla
ricorrente principale nella memoria depositata in prossimita’ della discussione del ricorso idonee ad
indurre a diverse conclusioni;
che in particolare, deve ritenersi insussistente la denunciata contraddittorieta’ della motivazione della
sentenza impugnata, ribadita con diffuse argomentazioni nella memoria difensiva sulla base del
rilievo della incompatibilita’ del concorrente riferimento alla sussistenza del consenso della
medesima ricorrente alla esecuzione dei lavori, e della urgenza degli stessi, atteso che, nella
decisione impugnata, appaiono particolarmente illustrate le ragioni in base alle quali la Corte
d’appello ha desunto l’esistenza del consenso della ricorrente alla esecuzione dei lavori; consenso
che, secondo quanto riportato a pag.12, costituiva la effettiva causa petendi della domanda proposta
dalla L. ;
che pertanto, pur se quest’ultima aveva anche dedotto l’esistenza della urgenza nella esecuzione dei
lavori, la ratio della sentenza impugnata va ravvisata, coerentemente alle deduzioni svolte nell’atto introduttivo, nel consenso alla esecuzione dei lavori che la Corte d’appello, con accertamento in
fatto adeguatamente e logicamente motivato, ha ritenuto fosse nella specie stato manifestato dalla
odierna ricorrente;
che conclusivamente, tanto il ricorso principale che quello incidentale devono essere rigettati;
che, in ragione della reciproca soccombenza, sussistono giusti motivi per disporre la compensazione
delle spese del giudizio di legittimita’.

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale; compensa tra le parti le spese del giudizio
di legittimita’.